Suicidio assistito, anticamera dell’eutanasia. Perché dire no.

  1. Perchè votiamo contro la legge sul suicidio assistito/eutanasia.
1. Premessa.
Nella scorsa legislatura, Forza Italia votò contro la legge sul bio testamento. Era evidente che una legge che indicava idratazione e alimentazione come “terapie” e non come semplici sostegni vitali avesse in sè i semi della introduzione dell’eutanasia nel nostro Paese.
D’altro canto, noi siamo contro ogni forma di accanimento terapeutico e a favore di ogni intervento utile ad alleviare le sofferenze di chi è malato: essere inguaribile non significa essere incurabile, non significa lasciare chi soffre solo nella sua sofferenza. Se non è sempre possibile guarire, è sempre possibile prendersi cura della persona che sta soffrendo.
Il presidente Berlusconi ha sempre dichiarato e ribadito anche nei suoi recenti interventi pubblici che Forza Italia mette al centro la persona e tutela la vita dal concepimento alla morte naturale.
Per questo nel 2010 fu il nostro governo a volere la legge sulle cure palliative, percorso che non riguarda solo gli ultimi giorni di vita e che prevede la presa in carico della persona malata e dei suoi familiari anche dal punto di vista psicologico. Anche in caso di malattia grave, nessuno deve essere lasciato indietro.
 
2. Il testo in discussione. Come abbiamo operato.
Così come la legge sul bio testamento è stata l’anticamera della sentenza della Corte Costituzionale che chiede la modifica dell’articolo 580 del codice penale, il suicidio assistito è la porta di accesso all’eutanasia.
Il testo base della legge – approvato dalla maggioranza che sosteneva il governo Conte 2 – ha un impianto fortemente eutanasico. Così sono state interpretate alcune delle condizioni poste dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato-Dj Fabo.
Il governo Draghi ha assunto (anche su nostro consiglio) una saggia posizione di neutralità, come aveva fatto il governo Conte 1 nel 2018, durante il primo tentativo di mettere capo a una legge.
Noi ci siamo posti in modo costruttivo e abbiamo lavorato in un’ottica di riduzione del danno:
– Non abbiamo mai praticato l’ostruzionismo.
– Non abbiamo presentato emendamenti soppressivi.
– Abbiamo proposto emendamenti migliorativi del testo.
– Abbiamo presentato altri emendamenti per chiarire che questa legge introduce per la prima volta nel nostro ordinamento il “favor mortis” invece del “favor vitae”, che è lo spirito che anima la Costituzione e i trattati internazionali, a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dai Trattati dell’Unione Europea.
3. Cosa abbiamo ottenuto.
Ci siamo sempre coordinati con tutto il centrodestra: Lega, Fratelli d’Italia, Coraggio Italia e Noi con l’Italia. Inoltre, abbiamo dialogato con lealtà con i relatori Bazoli (PD) e Provenza (Cinque Stelle).
Dopo la redazione di un primo testo base e la presentazione dei relativi emendamenti, i relatori ci hanno proposto un nuovo testo base, rivisto alla luce di tutti gli emendamenti proposti. Questo nuovo testo base riformulava anche alcuni dei nostri emendamenti.
Noi del centrodestra abbiamo dialogato informalmente con i relatori e con gli altri partiti e abbiamo ottenuto di rendere un po’ meglio definiti alcuni dei requisiti per richiedere la morte:
– siamo passati da “patologia irreversibile o a prognosi infausta” a “patologia irreversibile e a prognosi infausta”;
– invece di “intollerabili sofferenze psichiche o psicologiche” ora il testo dice “intollerabili sofferenze psichiche e psicologiche”.
– Abbiamo introdotto l’obiezione di coscienza per medici e operatori sanitari.
 
4. I punti di profondo e insuperabile dissenso e le nostre richieste rimaste inascoltate. 
Anche con queste modifiche, l’impianto generale della legge rimane profondamente eutanasico, perchè i requisiti per chiedere di morire sono troppo ampi: in pratica riguardano tutti i casi di malattie croniche o di disabilità senza rischio di vita immediato o a medio termine.
– La legge consente di chiedere la morte anche a una persona “portatrice di una condizione clinica irreversibile”. Per esempio, una persona affetta da diabete – quindi da una condizione clinica irreversibile ma che non la mette in pericolo immediato di vita – può chiedere di porre fine alla sua esistenza.
– Noi abbiamo invece insistito sul fatto che la persona debba essere affetta da una patologia irreversibile in fase avanzata e a prognosi infausta. Questa richiesta non è stata accolta.
– Prima di dare la morte, le istituzioni politiche e sanitarie hanno il dovere di porre in essere tutti gli interventi utili per accudire la persona malata, sotto ogni punto di vista. Per questo abbiamo chiesto che l’aver effettuato un percorso di cure palliative sia il requisito senza il quale non è possibile chiedere di morire.
Come testimoniano i medici palliativisti, i progressi farmacologici, le buone pratiche cliniche, la professionalità del personale portano le persone malate a non chiedere di morire perchè devastate dalla sofferenza fisica o psichica.
– Abbiamo rimarcato che è troppo generico indicare come requisito utile per la richiesta di morire “l’essere tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale”. Moltissime terapie per malattie croniche senza prognosi infausta a breve o a medio termine richiedono trattamenti sanitari senza i quali la persona potrebbe morire. Anche questo requisito consente di allargare a dismisura la possibilità di chiedere la morte.
– Abbiamo chiesto che ci sia anche lo psichiatra tra i medici che possono essere chiamati a valutare la richiesta di morte, per valutare a fondo lo stato psicologico della persona malata.  Anche questa richiesta è stata rifiutata.
– Abbiamo chiesto di indicare con più precisione la composizione dei comitati per la valutazione clinica che devono valutare le richieste presso le aziende sanitarie territoriali.
– Sia nella prima che nella seconda versione, il testo base non fa cenno ai costi economici che l’attuazione della legge porta con sè. Abbiamo chiesto che siano valutati, ma ancora non abbiamo ottenuto risposta.
 
5. Evitare la trappola emotiva. 
Ai tempi della legge sul bio testamento fu il caso Dj Fabo. Oggi è la vicenda di Mario a essere usata per forzare emotivamente l’opinione pubblica e le scelte del Parlamento.
Essa viene usata anche per condizionare la Corte Costituzionale, che deve decidere se accogliere la richiesta di referendum per abolire l’articolo 579 del codice penale. Peraltro l’abolizione non introdurrebbe l’eutanasia (come propagandano i promotori della raccolta firme) ma “semplicemente” si legalizzerebbe l’omicidio del consenziente, a prescindere dalle condizioni di salute della persona.
Solo un cuore di pietra sarebbe insensibile davanti alle sofferenze raccontate da Mario. Dobbiamo però essere consapevoli che questa è la consueta tattica da sempre usata dai radicali: usare il singolo caso per far scattare la trappola emotiva che impedisce di valutare le cose nel merito e in prospettiva.
A tal proposito, va sempre ricordato che la legge sul bio testamento consente già di fare (quasi) tutto. Infatti:
– Chiunque può dare disposizioni preventive per impedire di essere rianimato in caso di incidenti gravi o di gravi malattie.
– In qualsiasi momento la persona malata può revocare il suo consenso alle cure e ai trattamenti sanitari vitali e chiedere di accedere alla sedazione profonda.
– La legge affida a medico e paziente insieme il valutare, situazione per situazione, quale sia la soluzione migliore possibile.
Mario potrebbe usare la legge sul bio testamento per sospendere le cure e accedere alla sedazione profonda, ma lui ha scritto che non lo intende fare.
I radicali usano la sua vicenda per forzare in senso eutanasico la legge sul suicidio assistito. Nell’ottica di questo tipo di narrazione, ci sarà sempre un nuovo caso pietoso che forzerà emotivamente ad allargare le maglie della legge, a spostare il limite sempre più in là, a prendere la scorciatoia della morte della persona malata invece della sua presa in cura con umanità, in dignità e libertà fino alla fine.
L’unica situazione che la legge non contempla è quella della persona disabile a causa di una malattia o di un incidente e che non sia in pericolo di vita. Perché in questo caso si tratterebbe di eutanasia, andando ben oltre il perimetro indicato dalla norma.
 
6. Valutare la legge in prospettiva.
Nel caso di una legge come questa, oltre al merito del testo in esame vanno valutate a mente fredda la visione di uomo e di società che ne viene fuori e le conseguenze culturali e pratiche che la legge avrebbe sul lungo periodo. È sempre utile ricordare che non sempre le buone intenzioni riescono a impedire le cattive conseguenze.
A proposito della visione di uomo e di società il testo in discussione apre alcune ineludibili domande:
1. Vogliamo che si affermi una concezione in base alla quale è preferibile eliminare il sofferente invece di mettere in atto ogni tentativo reso possibile dalla scienza e dalla coscienza dei medici per eliminare la sofferenza?
2. Preferiamo l’autodeterminazione della disperazione o vogliamo potenziare con adeguato supporto medico e psicologico la vera libertà di scelta per la persona malata e per i suoi familiari?
La vera compassione umana per chi soffre consiste nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e i mezzi sanitari e psicologici per alleviare la sofferenza.
3. Vogliamo che le leggi facciano passare il principio che uccidere costa infinitamente meno che prendersi cura? In una società che invecchia come la nostra, il rischio è che l’eutanasia serva non per “alleviare le sofferenze” ma per alleggerire i bilanci pubblici.
4. Finora la nostra società ha offerto un di più attenzione nei confronti di anziani, malati, persone con disabilità, in forza del principio della intangibilità della vita umana, qualunque sia la sua condizione. Vogliamo davvero che un domani vecchiaia, debolezza, infermità siano visti come un peso di cui disfarsi? Vogliamo che dal “diritto di morire” si passi al “dovere di morire”, magari utilizzando come paravento il concetto di dignità della vita?
Uno stato democratico e liberale non può consentire che il concetto di dignità della vita sia relativizzato. Essere laici, essere liberali è un metodo che non comporta l’indifferenza valoriale ma l’adesione ad alcuni grandi valori di fondo sui quali si fonda la convivenza davvero civile, affinchè il forte non prevalga sul debole. Per questo motivo l’intangibilità della vita e il ritenere che la morte non sia un diritto del singolo hanno finora orientato il nostro ordinamento. Per questo motivo il concetto di dignità della vita, cioè di dignità della persona, deve sempre avere un valore assoluto, non legato al suo essere perfettamente funzionale e funzionante.
Se la dignità della vita diventa un concetto relativo, nel lungo periodo il risultato sarà l’annientamento progressivo e inesorabile dei più deboli. La storia lo ha già tristemente dimostrato, dal nazismo in poi. L’Aktion T4, l’eliminazione degli improduttivi voluta da Hitler fu accompagnata da una campagna mediatica “pietosa” basata su casi singoli: l’obiettivo era eliminare i soggetti più deboli, la cui cura costava troppo alle casse del Reich.
Tra le democrazie europee, l’Olanda è stato il primo Paese a introdurre la legge per l’eutanasia, nel 2001. Attualmente in quel paese il 4,5% dei decessi avvengono per eutanasia. Dapprima riservata a poche situazioni gravissime, dal 2016 essa può essere praticata ai pazienti psichiatrici: dal 2020 è possibile dare la morte anche ai bambini sotto i 12 anni se malati terminali. Finora l’eutanasia da 0 a 12 anni era esclusa perchè i bimbi non erano giudicati in grado di optare consapevolmente per la morte. In Belgio l’eutanasia ai bambini è già praticata dal 2016. In Canada, dal 2023 la morte pianificata sarà possibile anche per chi soffre solo di malattie mentali. In Belgio e Olanda sono in aumento i casi di eutanasia per polipatologia, quando di irreversibile non c’è una malattia incurabile ma solo i disturbi legati alla vecchiaia.
In Italia fino a oggi l’etica civile, il semplice buon senso, il nostro ordinamento radicato nella Costituzione non hanno consentito di violare la vita di un essere umano dietro sua richiesta, in nome della intangibilità della vita. L’articolo 5 del Codice civile vieta e sanziona atti di disponibilità del proprio corpo.
7. Conclusione
Nessuno sano di mente vuole avere a che fare con malattia o disabilità gravi per sè, per i propri cari, per tutti in generale. Noi non siamo per la sofferemia: come detto all’inizio, noi siamo contro ogni forma di accanimento terapeutico e per l’accompagnamento senza dolore fisico e senza sofferenza psicologica che le cure palliative oggi sono in grado di garantire alla persona gravemente malata.
Noi siamo per istituzioni politiche e sanitarie capaci di prendersi cura fino all’ultimo di chi non può guarire, dei più fragili e dei più deboli.
Nè accanimento, nè abbandono. La vera libertà fino alla fine è la libertà dal dolore e dalla solitudine, non dalla vita.

Pubblicato

in

da

Tag: