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Cattolici e politica. Intervista a Tempi

Antonio Palmieri

RASSEGNA STAMPA

Cattolici e politica. Intervista a Tempi

Scritto da Antonio Palmieri | 22 Marzo 2018 | Prima Pagina, RASSEGNA STAMPA

Antonio Palmieri è un deputato cattolico di Forza Italia che non ha mai fatto mistero della propria fede, assumendo spesso all’interno del suo partito posizioni che si rifanno alla Dottrina sociale della Chiesa. Anche con lui abbiamo scelto di confrontarci su cosa significhi oggi, alla luce dei risultati del 4 marzo, “essere cattolici” in parlamento. Ha ancora senso rivendicare una propria identità? Dove farlo? In che modo?

EDUCARE IN PARROCCHIA.

«Reagisco all’articolo di tempi.it raccontando, innanzitutto, di me stesso. Sono entrato in politica perché, sin da ragazzo, nella mia parrocchia l’interesse per il mondo, per quel che accade, anche in parlamento, era al centro dell’educazione che ci veniva impartita. La parrocchia era il luogo dove si faceva catechismo certo, ma anche dibattiti, incontri, cineforum: c’era veramente un’attenzione a tutto e l’impegno in politica era considerato come qualcosa di nobile, non di “sporco”. Con alcuni amici fondammo un centro culturale che aveva come scopo primario proprio quello di interrogarci e interrogare gli altri sull’attualità della dottrina sociale della Chiesa: come tradurre quei principi in leggi, in azioni pratiche? Il mio impegno in politica è nato in un ambito come questo, quasi naturalmente».

MANCANZA DI LUOGHI. 
Palmieri, perché ci racconta tutto ciò? «Perché una premessa necessaria a tutto il nostro ragionamento mi pare essere proprio questa: oggi, questi luoghi non esistono più. Non esistono più occasioni per i cattolici per parlare di politica, ambiti in cui ci si interroghi su come “trasformare”, mi si passi il termine, le proprie convinzioni in azioni. Anzi, addirittura queste occasioni sono evitate, tacciate, eluse. A parte la breve stagione che, per semplificare, chiamo dei “principi non negoziabili”, in cui si è dibattuto con fervore sui criteri che guidano il nostro agire, poi tutto pare essersi spento. C’è chi arriva persino a sostenere che quei principi non sono più importanti!».

I CATTOLICI DEL PD. 
In particolare, sottolinea il deputato di Forza Italia, «questo è accaduto nell’ultima legislatura dove è stato evidente la messa in minoranza di un certo tipo di posizioni. Voglio essere molto netto su questo: ciò è avvenuto soprattutto per colpa di Renzi. Nelle passate legislature, sempre nelle fila della sinistra avevano piena cittadinanza voci dissonanti di parlamentari cattolici rispetto alla linea laica del partito. Nell’ultima legislatura questo non è più avvenuto. Il Pd a guida Renzi ha eliminato il dissenso. Inoltre va anche detto che molti cattolici erano comunque convinti nel sostenere leggi come le unioni civili o il biotestamento».
Secondo Palmieri, insomma, non c’è alternativa: «Una casa politica per i cattolici può esserci solo nelle fila del centrodestra. Solo in quell’ambito trovano ascolto le istanze liberali e cristiane: attenzione alla solidarietà anche nell’ambito delle scelte economiche e una posizione equilibrata sul tema dell’immigrazione che cerchi di coniugare l’accoglienza con il mantenimento della nostra identità storica».

IL GREGGE E I PASTORI. 
Il rischio dell’irrilevanza, così come paventato dal cardinale Ruini «è forte e presente. Ruini ha ragione da vendere. C’è anche da dire che, a parte qualche vescovo – penso all’importante lavoro di monsignor Crepaldi, ad esempio –, non è che da parte dei vescovi ci sia stato fornito in questi anni un grande aiuto. Il gregge si disperde senza i pastori, è inevitabile. Richiamare al dialogo è sempre prezioso, ma se poi non ci si impegna a sostenere, anche culturalmente, chi nelle fila dei cattolici certe posizioni le porta avanti, chi mai lo farà questo dialogo?».


I figli portano gioia, profondità e futuro

Scritto da Antonio Palmieri | 18 Marzo 2017 | RASSEGNA STAMPA


La legge sul fine vita non deve aprire la strada all’eutanasia

Scritto da Antonio Palmieri | 17 Marzo 2017 | RASSEGNA STAMPA

La storia di Forza Italia sui temi etici è una storia di libero confronto, di decisioni prese dopo discussioni approfondite e della libertà di coscienza garantita a chiunque non si riconosca nella posizione assunta dal gruppo parlamentare, riconoscendo la reciproca legittimità di convincimenti e posizioni. È sempre stato così ed è così anche in occasione della legge sul fine vita.

Su questo tema non sarebbe stata necessaria una norma. Che lo Stato entri a regolare anche lo spazio che separa la vita dalla morte è un’invasione di campo della quale avremmo fatto volentieri a meno. A noi sta a cuore che lo Stato faccia quello che deve fare per garantire cure mediche accurate, senza alcuna forma di accanimento terapeutico e che sia garantito un leale e forte sostegno a coloro i quali chiedono la libertà di vivere e non quella di morire. Al di là della buona fede di molti dei proponenti, il testo che era stato elaborato a fine anno in commissione sarebbe stato il primo passo verso una legge per l’eutanasia. Grazie al lavoro fatto in questi mesi in commissione con il collega Sisto e con un manipolo di colleghe e colleghi abbiamo parzialmente migliorato la norma. 

Ora, in aula, proponiamo di nuovo emendamenti ragionevoli, che tolgano ogni ombra eutanasica dal testo, agendo su tre punti chiave. 1. Idratazione e alimentazione non sono cure ma sostegni vitali. Nessuno è mai guarito da una malattia perché nutrito. È evidente che se a un disabile o a un malato cronico non terminale togli liquidi e alimenti rimangono solo il suicidio assistito o l’eutanasia passiva. 2. Come ho detto in commissione e in aula, il medico non può essere ridotto a un mero esecutore testamentario di volontà espresse magari anni prima. Noi siamo contro ogni forma di accanimento terapeutico e per una alleanza tra paziente, familiari e medici. Nella reciproca libertà e nel reciproco rispetto. 3. Le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) sono definite in modo troppo generico. Vanno circoscritte unicamente ai casi in cui sia accertata la definitiva perdita della capacità di intendere e di volere e comunque il medico deve poter tener conto dei progressi scientifici e della situazione del singolo malato.

Vedremo cosa accadrà in aula. Speriamo che i nostri argomenti, espressi in 48 emendamenti firmati da 42 deputati su 50 componenti del nostro gruppo, possano trovare accoglienza. 

In base a come saranno andate le cose decideremo come sarà il nostro voto finale. Valuteremo la realtà, senza pregiudizi ma con alcuni chiari giudizi culturali e politici. 1. Su questo tema ci muoviamo tra l’evidenza che nessuno si è dato la vita da solo e il fatto che ciascuno è liberamente responsabile di scegliere come vivere. Un crinale davvero sottile. Per questo era meglio non normare la linea di confine tra vita e morte. 2. Ogni legge traduce una visione di essere umano e di società. Noi rifiutiamo la visione per la quale ci sono vite degne di essere vissute e altre che non lo sono, perché segnate dalla malattia e dalla sofferenza e dunque è meglio siano “terminate”. Inguaribile è cosa ben diversa da incurabile: la tradizione culturale dell’Occidente, iniziata con Ippocrate e inverata dal Cristianesimo, è una tradizione di cura e di presa in carico del più debole, specie se inguaribile, non della sua soppressione. Questo è l’orizzonte che spinse il governo Berlusconi ha tentare di salvare la vita di Eluana e che fece varare nel 2010 la legge sulle cure palliative, che già oggi consente di non prolungare inutilmente le sofferenze di una persona malata terminale. 3. Per questo in commissione e in aula ho rifiutato la visione caricaturale che mette chi avversa questo testo di legge tra coloro che vogliono costringere i malati a soffrire, contrapposto a chi invece è animato da pietas compassionevole. Questa divisione è parte della “trappola emotiva” che la vicenda di Dj Fabo ha fatto scattare per forzare la mano a noi deputati e far votare alla Camera una legge il più possibile eutanasica. Anche lo sconcerto esibito da molti quotidiani per l’aula vuota di lunedì durante la discussione generale della legge sul fine vita è parte di questo tentativo di forzatura. Noi non ci cascheremo: non si legifera sulla onda di una emozione. Lo si fa per garantire il diritto autentico dei più deboli, in questo caso quello delle persone malate di non essere lasciate da sole. 

Pubblicato su Il Foglio, 17 marzo 2017


Eutanasia per legge? No!

Scritto da Antonio Palmieri | 4 Marzo 2017 | EDITORIALE, Prima Pagina, RASSEGNA STAMPA

Caro Lorenzo,

la sua lettera ad Avvenire è una testimonianza che merita attenzione e risposta. Io non sono un capogruppo, ma in questi due mesi ho seguito il dibattito e le relative votazioni agli emendamenti in commissione affari sociali, a riguardo della legge sul “testamento biologico”. L’ho fatto su mandato del mio capogruppo, Renato Brunetta, assieme al collega Sisto. 

Comprendo le sue preoccupazioni, che immagino siano le stesse di migliaia di persone gravemente malate o disabili e delle loro famiglie. Purtroppo la tragica fine di Dj Fabo ha fatto scattare nuovamente la “trappola emotiva”: il coro quasi univoco di giornali, tv, radio, web sta cercando di forzare la mano a noi deputati. L’obiettivo è arrivare direttamente a una legge pro eutanasia, profittando del fatto che il 13 marzo arriva in aula la legge sul “testamento biologico”. 

È uno schema già visto, fin dai tempi della diossina a Seveso, usata a suo tempo per spingere per una legge a favore dell’aborto. 

In un’era ipercomunicativa come la nostra, la trappola emotiva esprime una forza e una violenza inaudita, alla quale è difficile opporsi portando ragioni contro emozioni: il ragionamento ha bisogno di tempo e “spazio”, l’emozione ha invece impatto ed effetto immediato.
Tuttavia sono fiducioso che, in questo caso, non ci riusciranno. In commissione nessuna forza politica si è espressa o ha presentato emendamenti a favore dell’eutanasia. È un buon segno. 

Per questo la invito a non cadere nella trappola dei media e dei “maestri di pensiero” che vogliono farci credere che il popolo italiano sia diventato eutanasico. Continui a chiedere la libertà di vivere, non quella di morire. Non è da solo, dentro e fuori dal Parlamento.

Ora ci sono dieci giorni di tempo per presentare gli emendamenti per l’aula. Vigilerò, vigileremo. Con tutti coloro che ci vorranno stare. Il nostro obiettivo è mettere capo a una norma che tenga insieme libertà di cura e tutela della vita. Sempre. 

Non so se ce la faremo. Certamente però non dobbiamo abbassare la guardia, per non correre in alcun modo il rischio di finire come in Belgio.  

Pubblicato su Avvenire, sabato 4 marzo 2017


Palmieri: “Minniti, su cybersecurity non stai facendo né dicendo abbastanza”

Scritto da Antonio Palmieri | 3 Febbraio 2017 | RASSEGNA STAMPA

“Inizio il mio intervento esprimendo la solidarietà, personale e del gruppo di Forza Italia, al Ministro Minniti, perché non è facile svolgere una funzione delicata come la sua in un Governo il cui leader del principale partito ogni giorno si affanna a dare colpi di piccone.”. Con queste parole ho iniziato il mio intervento alla Camera, ieri, dopo l’informativa del ministro dell’interno dedicato al caso dei fratelli Occhionero e alla cyber security.

La vicenda dei fratelli Occhionero non mi appassiona. Mi impressiona la semplicità con la quale queste persone hanno potuto tentare di avere accesso a computer di personalità importanti.

Il vero punto importante è la seconda parte di quanto (non) detto da Minniti sulla cyber sicurezza nel nostro Paese.

Un intervento generico e insoddisfacente, su un tema che peraltro conferma che la distinzione tra virtuale e reale non c’è più. Il digitale è un ambito integrale della nostra vita ed è reale tanto quanto il resto degli ambiti nei quali viviamo. Per questo il tema della cyber sicurezza non è più rimandabile.

Nell’ultima assemblea della NATO (Varsavia, luglio 2016) è stato detto che non solo il cielo, la terra, il mare e lo spazio ma anche il web è un ambito di primaria importanza per la difesa dei nostri Paesi e del nostro Paese. Sempre da luglio dello scorso anno è in vigore la direttiva dell’Unione europea relativa alla sicurezza dei sistemi informatici. Sarebbe interessante capire, pur nella precarietà di questo governo, come ci stiamo attrezzando. Sarebbe opportuno che anche qui ci mettessimo subito a lavorare, anziché aspettare che finisca la legislatura senza fare nulla.

Serve che il governo faccia chiarezza su alcuni punti. Bisogna avere un piano nazionale adeguato, che dimostri una capacità non solo reattiva, ma soprattutto attiva, di azione e di prevenzione. Occorre diffondere la cultura dell’importanza della cybersicurezza, sia nell’ambito pubblico che privato. Anche in questo campo – come in molte delle tematiche connesse al digitale – scontiamo un’arretratezza di natura culturale che penalizza l’intero sistema Paese.

[AgendaDigitale.eu]


Testamento biologico. «I medici diventeranno meri esecutori. Il Pd non ha niente da dire?»

Scritto da Antonio Palmieri | 3 Febbraio 2017 | RASSEGNA STAMPA

«Perché il Pd riesce a litigare su tutto tranne che su temi di primari importanza, che riguardano la vita delle persone, come l’eutanasia?». Se lo domanda Antonio Palmieri (Forza italia), parlando con tempi.it, dopo la conferenza stampa indetta ieri alla Camera da un gruppo trasversale di parlamentari sulla legge che vuole introdurre il testamento biologico (Dat). Come già dichiarato a questo giornale da Eugenia Roccella (Idea), il testo presenta molti problemi e così com’è scritto rappresenta di fatto «una legge sull’eutanasia: una legge cioè che consente di togliere idratazione e alimentazione, e che non tutela la libera decisione, in scienza e coscienza, del medico». Alla conferenza stampa, oltre a Palmieri e Roccella, erano presenti Gian Luigi Gigli (Des-Cd), Alessandro Pagano (Lega), Paola Binetti (Udc), Benedetto Fucci (Cor), Raffaele Calabrò (Ap), e Domenico Menorello (Sc). Nessuno del Pd.

Perché avete indetto la conferenza stampa?
Il punto che più ci sta a cuore, e che vorremmo modificare attraverso un emendamento, è quello sulla “vincolatività” del testamento biologico per il medico. Attualmente la legge ne mette in dubbio il ruolo stesso, trasformandolo in un mero esecutore testamentario.

Perché vi opponete?
Cerchiamo di immaginarci quanto è delicata la situazione di un paziente che vorrebbe chiedere l’eutanasia. Potrebbe essere mal consigliato, potrebbe non essere in grado di prendere le decisioni giuste, vivendo un grave disagio psicologico. Secondo quanto previsto dal disegno di legge attuale, il medico non dovrebbe fare altro che sottostare alla volontà del paziente, invece di consigliargli la soluzione migliore, essendo evidentemente più preparato dal punto di vista sanitario. La dinamica è un po’ simile a quello che sta accadendo con i vaccini, in cui prevale il punto di vista del paziente, che decide di non vaccinarsi pensando di essere più preparato e più furbo del medico che invece prescrive l’opposto.

Vi sentite soli in questa battaglia?(
Per il momento sì, non capiamo perché siamo gli unici ad avere chiesto alcuni emendamenti. Speriamo che qualche collega del Pd ci segua e abbia voglia di esaminare l’iter di questa legge, prima che venga approvata in fretta e furia. Mi chiedo come mai nel Pd riescano a litigare su tutto tranne che su questi temi di primaria importanza, che riguardano la vita delle persone. C’è tempo fino al 20 febbraio prima che la legge arrivi in Aula, speriamo che sia un mese fruttuoso.

I giornali non se ne stanno occupando molto.
È vero, se n’è sempre parlato troppo poco, non c’è stato finora un reale interesse dell’opinione pubblica, una volta superato il dibattito del caso Englaro. Questa legislatura vuole approvare la legge nel più breve tempo possibile, ma non c’è niente di più sbagliato. Gli italiani hanno bisogno di formarsi un’opinione e speriamo che la preoccupazione per questi temi si allarghi rispetto alla piccola cerchia di parlamentari che finora se ne sta occupando. La decisione finale sulla vita di un malato non può arrivare dal Parlamento, ma per la sua delicatezza deve sempre essere presa tra medico, paziente e famiglia.

[Tempi – 03/02/2017]


Il digitale è una battaglia quotidiana per il consenso

Scritto da Antonio Palmieri | 25 Gennaio 2017 | RASSEGNA STAMPA

Internet ha cambiato anche la politica. E sta continuando a cambiarla. L’ultima, abbagliante conferma è arrivata dal sorprendente ingresso alla Casa Bianca di mister Donald Trump, con annesse polemiche. Le campagne ormai si giocano on line e soprattutto sui social network. Arriva quindi a fagiolo il libro “Internet e Comunicazione politica” di Antonio Palmieri, responsabile web di Forza Italia, un pioniere delle relazioni digitali visto che ha un sito personale da oltre 15 anni ed è stato, insieme con l’irruento Antonio Di Pietro, il primo parlamentare italiano su Twitter. Insomma, uno che se ne intende a differenza di tanti altri suoi colleghi.

Conosco Palmieri da tempo e ho modo di apprezzarlo settimanalmente anche come titolare di un blog su EconomyUp (Tecnologia Solidale). Spesso gli dico, quasi scherzando, che è un politico anomalo. Mi piace trovare anche in questo libro conferma di quella che io chiamo la sua “anomalia”, che poi non è altro che la capacità di guardare alle cose importanti ben oltre gli schieramenti e soprattutto con uno sguardo attento al presente quotidiano e al futuro che ci riguarda tutti.

“Internet e Comunicazione politica”, pubblicato da Franco Angeli, è come dichiara lo stesso autore, un “libro-testimonianza” di una militanza digitale che si avvia verso il quarto di secolo, militanza digitale che si è intrecciata con le vicende politiche del nostro Paese ma ha anche con l’evoluzione della cultura tecnologica generale. Le cose sono cambiate e il libro anche questo documenta. “Parlare di tori non è come essere nell’arena”, dice un proverbio spagnolo ricordato da Palmieri. Ecco, lui è certamente un torero che nel corso del tempo ha dovuto agitare la muleta davanti a tanti tori furiosi, sempre con un occhio agli sviluppi tecnologici e l’altro agli equilibri politici.La copertina del libro di Antonio Palmieri

Per questa ragione “Internet e Comuniazione” è anche una guida utile, grazie anche a un linguaggio semplice e poco incline al birignao tecnologico, a tutti coloro che si avvicinano in ritardo alla comunicazione digitale, anche a livello personale e non solo nell’arena politica. Internet è il luogo della campagna elettorale permanente, si intitola un paragrafo del libro, ricordandoci che online relazioni, reputazione e, quindi, consenso si costruiscono giorno. La lettura politica di Palmieri è facilmente trasferibile ad altri ambiti, soprattutto nei concetti generali che la guida. Ce ne sono un paio che mi piace sottolineare perché spesso sommersi da certe ossessioni digitali forse anche per la loro ovvietà: la realtà viene prima della comunicazione (serve un leader, così come serve un prodotto per avere successo), anche perché il web non è un mondo a parte ma un pezzo importante del nostro mondo. Secondo, con internet non si vincono le elezioni, ma senza si perde (così come il web non è garanzia di business ma è sempre più difficile farlo restando solo offline).

Ecco perché, concludo con Palmieri, sbaglia chi domanda ancora quanti voti vale Internet. Altra è la questione: “come faccio a stare online in modo tale da non perdere voti e anzi guadagnarne qualcuno di più? Sostituite voti con ricavi e capirete perché davanti al digitale siamo tutti uguali: singoli, partiti, aziende.

(Giovanni Iozzia, Economyup.it, 23.1.2017)


Scrittori: un “Cantiere” per Eugenio Corti Iniziative per ricordare autore cattolico

Scritto da Antonio Palmieri | 25 Gennaio 2017 | RASSEGNA STAMPA

“Eugenio Corti e’ uno dei grandi della letteratura italiana del 900 e di ogni tempo. La sua opera merita di non essere dimenticata e anzi di essere riproposta”. Con queste parole, Antonio Palmieri, capogruppo Forza Italia in commissione cultura ha aperto la conferenza stampa di presentazione del “Cantiere Eugenio Corti”, serie di iniziative dedicate allo scrittore brianzolo coordinate dal prof. Giuseppe Langella, docente dell’Universita’ Cattolica di Milano e da Paola Scaglione, docente e biografa di Corti. Tra le principali iniziative vi e’ la pubblicazione degli atti del convegno internazionale tenutosi lo scorso giugno all’universita’ Cattolica di Milano, “Al cuore della realta’. Eugenio Corti scultore di parole”, a cura della professoressa Elena Landoni e presentati in anteprima nella conferenza stampa. Inoltre martedi’ 14 febbraio ancora la Camera ospitera’ il convegno “L’eredita’ lasciata dai padri. Eugenio Corti un maestro per i nostri tempi”. “Sara’ un’altra occasione per approfondire l’eredita’ del pensiero del grande scrittore cattolico”, ha detto Palmieri, la cui opera principale, “Il cavallo rosso” ha avuto 32 edizioni ed e’ stata tradotta in 9 lingue, tra cui il giapponese. Corti e’ stato uno scrittore realista, che scriveva per “testimoniare la verita’ e la bellezza”, come ha ricordato Paola Scaglione. Uno scrittore “universale e insieme attaccato al suo territorio d’origine, la Brianza”, come osservato dal professor Langella. Il “Cantiere Corti” sta organizzando altre iniziative per dare conto della ricchezza dell’opera di questo scrittore.

(ANSA)


Post verità e delle fake news: considerazioni e proposte

Scritto da Antonio Palmieri | 6 Gennaio 2017 | Prima Pagina, RASSEGNA STAMPA

Come hanno ricordato sul Foglio Carnevale Maffè e Giovanni Maddalena le notizie false sono sempre esistite. Per chi fa comunicazione politica il confronto con le bugie (o ritenute tali dal proprio punto di vista) è parte del lavoro quotidiano. Per fare solo un esempio, nell’aprile del 2004 lanciai per Forza Italia il sito tematico “Caccia alle bufale online”, per smentire le false notizie riguardanti il governo Berlusconi pubblicate nel web e veicolate anche tramite catene di email. Conobbi in quella occasione il lavoro di Paolo Attivissimo, che da oramai quasi tredici anni smaschera le bufale online e che assieme a David Puente ha svolto una pregevole inchiesta per scoprire chi c’è dietro e come funzionano i siti di fake news di maggior successo.

La questione è certamente rilevante. Tuttavia l’andamento del dibattito mi ha convinto che il tema non sarebbe diventato di “vitale importanza” per l’assetto democratico globale se la Clinton avesse vinto le elezioni e Renzi il referendum. Poiché hanno perso le elezioni quelli che le “dovevano” vincere e che, guarda caso, controllano in larga parte la comunicazione, fake istituzionali compresi, ora diventa urgente regolamentare la verità sulla rete. 

In realtà, i rappresentanti dell’establishment di governo non hanno perso a causa di qualche sito spara bufale ma perché incapaci di dare risposte alle paure e alle domande di sicurezza sociale ed economica espresse da larga parte dei cittadini. Domande peraltro da essi giudicate sbagliate, non politicamente corrette, indegne di cittadinanza nel dibattito pubblico. In un arguto tweet, il vicedirettore del tg1 Gennaro Sangiuliano si chiede “non ho capito se si vogliono bloccare le “bufale” in rete o le “verità negate” quei fatti che la dittatura del politicamente corretto nega”. È più comodo trovare un capro espiatorio della sconfitta nei siti fake che fare una seria autocritica.

Il dibattito attuale mi riporta a quando, dopo aver perso le elezioni europee 1999, la sinistra si rifugiò nella comoda scappatoia di pensare che avessimo vinto perché avevamo usato gli spot. Così il governo D’Alema nel febbraio 2000 approvò una legge (tuttora in vigore) per impedire di usare gli spot TV e radio. Com’è noto, persero rovinosamente sia le regionali 2000 che le elezioni politiche 2001. Non avevano perso per gli spot ieri, non hanno perso oggi per le fake news. Come cerco di argomentare nel mio libro “Internet e comunicazione politica”, la questione centrale è che la realtà (sociale, politica, economica) viene sempre prima della comunicazione e determina buona parte del contesto e dell’esito delle vicende elettorali. 

Nel caso in questione ciò significa anche che il problema delle false notizie non riguarda solo il web o i social network, fatelo capire per favore al ministro Orlando. Il tema della verità dell’informazione è antico come il mondo. Se dovessimo oscurare ogni fonte di bufale, allora si dovrebbero oscurare i grandi siti per manifesta manipolazione della realtà, come scrive Marcello Foa in un suo recente post a proposito di come si manipola l’informazione, tra spin doctor istituzionali e testate informative “ufficiali”.

Su questo aspetto si fonda la premessa di ciò che ha detto Grillo. La sua idea della giuria popolare per decidere quali notizie siano vere non è una proposta ma la butta, come al solito, in caciara. Lancia la solita fake notizia e ottiene gratis visibilità per sé e guadagni non solo politici per il suo blog.

Allo stesso modo è irricevibile la proposta del presidente antitrust Pitruzzella. Non ne discuto la buona fede ma è evidente il rischio di cadere in forme di censura se è una agenzia pubblica, nominata da chi è al potere, a decidere che cosa è verità oppure no o a distinguere i confini tra satira e menzogna. 

Che fare, allora? In primo luogo i media istituzionali smettano di dare rilevanza alle bufale, rilanciandole nei propri siti, seppur  con lo scopo di denunciarle. Se un sito fake come newsitalia24.com fa 120.000 visitatori al mese (fonte Agi, inchiesta di Matteo Flora e Arcangelo Rociola) cioè solo 4.000 al giorno, che audience raggiungerà se repubblica.it ne rilancia i post? 

In secondo luogo, le fake news si combattono con buoni contenuti ed educazione all’uso del web. Dice bene il giornalista e blogger Fabio Chiusi nel suo post per valigiablu.it: “Quando c’è bad speech, insegnano piuttosto gli anglosassoni, si combatte con more speech. Manipolazione, propaganda, bugie, falsità costruite ad arte si contrastano con logica e spirito critico, argomenti e dati.”. È una strada lunga, lo so. E parte inBanzi tutto dai comportamenti personali, il mio e il tuo: ma anche nel web la moneta cattiva si scaccia mettendo in circolazione moneta buona. A questo riguardo non mi sfugge quanto evidenziato dalla ricerche di Walter Quattrociocchi sul fatto che il debunking, “il confutare le false informazioni attraverso il fact checking” sia inutile “per ristabilire una coscienza corretta dei fatti”. Ma solo una presenza può sperare di contrastare un’altra presenza. 

In terzo luogo, se si ritiene che una balla sia un reato, allora la si persegua usando le leggi che già ci sono, anche per intervenire su siti aventi sede all’estero, cosa fattibile, specie se si è una istituzione pubblica e dunque si ha potere a sufficienza.

Rimane il tema del ruolo dei big player del digitale: semplici vettori neutri oppure super media companies? Non ho una risposta ma una provocatoria considerazione. Google e Facebook sono aziende private che svolgono un servizio pubblico, nel senso del principio di sussidiarietà: pubblico è il servizio, non necessariamente chi lo eroga. Se così è, allora queste aziende sono chiamate a un di più di responsabilità. Come praticarla è il problema: potenziare la “moderazione sociale”, cioè incrementare le segnalazioni di fake proposte dagli utenti può essere un inizio ma si presta ad abusi alla libertà di espressione. Limare gli algoritmi, anche. Forse a questa questione, come direbbe un premio Nobel per la letteratura, “risposta non c’è”. Vale però la pena di cercarla, tutti insieme, consapevoli che poiché nella vita il grano e la zizzania cresceranno sempre insieme. Lavoro alle campagne elettorali di Berlusconi dal 1993 e nel web da fine 1994 e mi sono dovuto confrontare con fake di ogni tipo. È impossibile  (e antidemocratico) pensare di impedire la scrittura di bugie per legge. Quando nel 2001 qualcuno tra noi voleva denunciare chi taroccava online la nostra campagna di affissioni, con Berlusconi decidemmo di farne il “Concorso dei manifesti taroccati”. Fu una controcampagna di grande successo.

Concludo con un sorriso. È davvero ironico vedere come la maggior parte di coloro che si battono per la verità online siano gli stessi che ci dicono da anni che la verità non esiste. Ma questo è tutto un altro tipo di fake…

Pubblicata su Il Foglio, sabato 7 gennaio 2017


Riforma Renzi: colpo all’efficienza e alla democrazia. Mia lettera ad Avvenire

Scritto da Antonio Palmieri | 3 Dicembre 2016 | RASSEGNA STAMPA

Caro Direttore,
la riforma Renzi toglie democrazia e aggiunge inefficienza. Infatti riforma e nuova legge elettorale consegnano al premier parlamentari a sufficienza per eleggere da solo Presidente della Repubblica e giudici della Corte costituzionale. Renzi ha detto che cambierà la legge elettorale? Stai sereno, se vince non avrà motivo per farlo. Governando il PD 17 regioni su 20 e quasi tutti i comuni principali, è sicuro di avere la stessa maggioranza alla Camera e al Senato. Vincessero altri avrebbero il Senato contro. Poiché il Senato può rivedere ogni legge approvata dalla Camera e proporre leggi proprie, due camere con maggioranze diverse significa paralisi. 

Avremo meno democrazia anche perché non si sa come saranno scelti i senatori: l’unica cosa certa è l’abolizione del voto del popolo. E avremo meno efficienza, perché i modi per fare una legge da tre diventano dieci e il funzionamento di Camera e Senato è affidato a regolamenti al momento sconosciuti. Certo è che i senatori avranno compiti impegnativi, impossibili da svolgere part time, facendo contemporaneamente i sindaci o i consiglieri regionali. Ed è provato che non risparmieremo 500 milioni ma 50, perché le spese di funzionamento del Senato restano immodificate. Fanno 90 centesimi all’anno per cittadino. Il ballottaggio previsto dalla nuova legge elettorale costa 250 milioni, vanificando così ogni risparmio. 

Avremo infine meno democrazia su un aspetto cruciale. Il governo, cioè il premier, avrà un potere senza controllo sulle Regioni. Potrà ad esempio annullare una legge regionale sulla famiglia o per la libertà di educazione facendola cancellare dalla Camera. È la “clausola di supremazia”, terribile strumento per togliere libertà alle Regioni non allineate al pensiero del governo. Questo da solo è un ottimo motivo per votare NO! 

Ultima precisazione. Volevamo lavorare a riforme condivise e abbiamo dato credito a Renzi. Con l’andare del tempo ci siamo resi conto che a lui interessava solo usarci contro la sua minoranza interna e fare riforme a misura del PD e non per il bene del Paese. Bene per il quale votiamo NO! Ci siamo fidati di Renzi. È stato un errore. Da non ripetere domani. 

Avvenire, 3 dicembre 2016, pag.7



Continua

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