Ma sul problema della parità si dimentica il buono-scuola

Il Sole 24 ore del 20 agosto 2002

“Sono convinto che subito dopo la pausa estiva il Senato, senza limitare la discussione, che auspico ampia e approfondita, provvederà rapidamente all’approvazione della riforma della scuola”: questo ha detto il 6 agosto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
É auspicabile che la discussione sia davvero approfondita e ampia, e che si superi il clima arroventato da prese di posizione pregiudiziali, che oggi chiudono qualsiasi varco verso le soluzioni ottimali in grado di venire incontro alle urgenze effettive della scuola, migliorando sia le scuole statali sia quelle non statali. A tale riguardo mi permetto di dare un consiglio al ministro Moratti e al Governo nel suo insieme: fate qualcosa di liberale per la scuola.

Del buono-scuola – idea abbracciata da sempre dalla Casa delle libertà – non si sente più parlare. Pare che i nostri governanti siano stati colpiti da un’amnesia: tanto più dannosa in quanto vieta di porre il dito sulla gravissima piaga del sistema scolastico italiano, che si chiama monopolio o quasi-monopolio statale dell’istruzione. Parità e buono-scuola.
É ben vero che sulla parità tra scuole statali e non statali esistono quattro proposte di legge di iniziativa parlamentare, e che il 2 luglio Antonio Palmieri di Forza Italia ha illustrato con efficacia, in sede referente, alla VII Commissione della Camera le ragioni del buono-scuola. Ma di tutto ciò l’opinione pubblica, le famiglie, la scuola militante sono all’oscuro: radio, televisioni e la grande stampa sono in altre faccende affaccendate.

La pervicace ostilità nei confronti del buono-scuola (o anche del credito di imposta) di cui sta dando prova la sinistra – fiancheggiata da pseudo-liberali i quali ogni tanto fuoriescono dalla caverna di un anticlericalismo fuor di tempo e fuor di luogo – è deleteria per le stesse scuole di Stato: le quali, come diceva Salvemini, “dalla concorrenza con le scuole private, hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere”.
Ciechi sono i promotori del referendum relativo all’abrogazione della parità scolastica. E prive di qualsiasi consistente argomentazione sono le considerazioni contro la scuola libera che infiorettano il pamphlet intitolato , con prefazione di Sergio Cofferati.
Cofferati dovrebbe riflettere sul fatto che la competizione è la più alta forma di collaborazione: nella scienza, nella vita democratica, nella libera economia. Antonio La Forgia, ex presidente della Regione Emilia-Romagna, queste cose le aveva ben comprese. Come non capire che la competizione tra le scuole è l’unica vera terapia per i mali sia delle scuole di Stato che di quelle non statali? E che il buono-scuola – come ha tra l’altro ribadito, il 27 giugno, la Corte Suprema Usa – è una carta di liberazione per i poveri?

Competizione e libertà. La competizione non farebbe affatto aumentare la spesa. I sedicenti liberali contrari al buono-scuola dovrebbero rileggere non solo quanto scrissero sull’argomento Milton Friedman e Friedrich von Hayek, ma i giudizi sull’importanza della competizione nel sistema scolastico di cattolici come Tocqueville, Rosmini, don Sturzo e don Milani, e di laici come John Stuart Mill, Bertrand Russell, Gaetano Salvemini, Luigi Einaudi.
Quanto a Fausto Bertinotti e ai suoi seguaci, alla loro attenzione vorrei sottoporre un pensiero di Antonio Gramsci: “Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato”.


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