L’open source varca le porte del Senato

Affari e FinanzaRepubblica del 9 maggio 2005
di Laura Kiss

Un argomento di grande attualità e decisamente diverso di quelli di cui si solito si parla in quella sede è stato affrontato qualche giorno fa nella sala gialla del Senato davanti ad un pubblico di esperti della pubblica amministrazione. Si è parlato di Open Source e l’argomento potrebbe non sembrare così nuovo se non fosse per il fatto che, come spiegato da Antonio Palmieri di Forza Italia e Fiorello Cortiana dei Verdi, il ‘potere’ e la p.a. sono agli albori dell’informatizzazione. L’adozione dell’Open Source nella pubblica amministrazione come opportunità di innovazione per le imprese italiane: questo il titolo dell’incontro promosso da Equiliber, che è stato caldamente sostenuto non solo dai rappresentanti del Parlamento ma da autorevoli guru dell’Ict come Alberto Pelizzaro partner di Deloitte, Giacomo Cosenza presidente di Sinapsi e Francesco Sacco, docente allo Sda Bocconi. «L’open source deve diventare risorsa di tutti», spiega Cortiana. «Non è ne di destra ne di sinistra, è un modo aperto di trasmettere informazioni». «L’argomento è trasversale», gli fa eco Palmieri.
Le major come Microsoft o Oracle, devono fare i conti con il fatto che gli addetti ai lavori sono sempre più favorevoli all’adozione di soluzioni Free/Open Source Software. «Alcune grandi aziende hanno cercato di sostenere la tesi che per risparmiare sui costi non conviene intervenire sulla parte software perché i risparmi sarebbero irrilevanti», spiega Cosenza. «Invece è proprio la voce software ad incidere in maniera considerevole sugli investimenti. Questa constatazione offre all’Italia l’opportunità di smarcarsi da un retroterra costoso, anche se non sarà facile diventare liberi dalla dipendenza di fornitori di licenze proprietarie. Riguardo alla brevettabilità del software, non è vero che sia un’incentivazione all’innovazione, semmai è il contrario. Da quando è stata introdotta negli Usa gli investimenti in ricerca sono calati». Allora come reagire? «I brevetti software vengono usati in modo strategico per bloccare l’innovazione», continua Cosenza. «Stiamo parlando di brevetti che hanno una durata che non è compatibile con il vantaggio competitivo che dovrebbero garantire».
Secondo Cosenza le più grandi innovazioni informatiche furono presentate tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80 allo Xerox Parc Place di Palo Alto. Tutto era ancora libero, e tutti hanno copiato da lì. «I brevetti software non esistevano ancora. La stessa esistenza di Microsoft, di Apple, di Sap, dimostra che non è necessaria la brevettabilità per incentivare l’innovazione. Finora è bastato il copyright a tutelare il ritorno sugli investimenti». Diverso è il discorso sul diritto d’autore e la pirateria nel mondo dell’entertainment: i cd possono essere paragonati al software mentre i concerti ai servizi professionali che l’azienda di informatica fornisce ai propri clienti. I servizi a valore aggiunto, come i concerti, non sono duplicabili a costo zero come i contenuti digitalizzati. «Un tempo si facevano i concerti per promuovere i dischi», commenta Cosenza, «Oggi si fanno i dischi per promuovere i concerti. In questo scenario trovano giustificazione le licenze Creative Commons, la controparte del software libero per i contenuti creativi». I dati di vendita dei brani su internet parlano chiaro: nel 2003 sono stati venduti 20 milioni di brani, mentre nel 2004 siamo arrivati a Un’audizione di alcuni ‘guru’ italiani del software libero porta per la prima volta in una sede istituzionale problemi come copyright, brevettabilità, licenze gratuite: anche i politici scoprono i vantaggi per la pubblica amministrazione

200 milioni. La ragione di questo aumento è una sola: è più facile comprare un brano che piratarlo. «Speriamo che ci sia libertà per tutti di usare software proprietari o open source, a seconda delle proprie esigenze. Bisogna far passare il software libero come strumento di predisposizione ambientale ad una maggiore innovazione», conclude Cosenza. «Solo questa può essere considerata oggi l’economia del sapere».


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